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Filosofia populare

Com-unicare

da Giuseppe Andrea Vailati | 16 Gen, 2021 | Tapas di cultura | 0 commenti

Com-unicare

Com-unicare… Cos’hanno in comune l’artista Banksy, il documentario di Netflix “The social dilemma”, la metafisica classica e le emozioni che proviamo, spero, ogni giorno?

Apparentemente poco…

Banksy è un graffittaro che, sotto pseudonimo, utilizza le pareti cittadine, oltre che il muro che imprigiona i palestinesi, per dilatare la comprensione dello spettatore: poliziotti che sniffano coca, altri ammanettati da bambini, il Crocifisso ricolmo di regali appesi ai chiodi delle mani… contrasti, contrasti forti che accoppiano due poli opposti, generalmente l’autorità e la fanciullezza, rovesciandone il rapporto. Provoca, provoca Banksy e lo fa toccando le corde più delicate del cuore, quelle che riguardano il rispetto e la pietà per i bambini, coloro che di colpe, così come di difese, proprio non ne hanno. Interessante la sua celebre frase in cui critica le persone succube dei social network, in cui afferma che “l’invisibilità è un superpotere”!

Il Crocifisso consumista di Banksy

E poi le reti sociali… reti appunto, reti da pesca che, una volta che siamo entrati ci catturano attraverso la nostra volontà. Ricordano un po’ il gatto e la volpe di Pinocchio: certo che lui voleva andarci nel paese dei Balocchi!!! Ogni rete ha questo duplice significato: da un lato riunisce e collega, dall’altro afferra e cattura. Come lo fanno i social network? Sostanzialmente facendo leva su due grandi debolezze tra loro collegate e che ciascuno di noi si porta dentro: la solitudine ed il bisogno di riconoscimento. Esse ci offrono continui stimoli secondo i nostri gusti, certamente per offrirci qualcosa di succulento al palato, ovviamente per guadagnarci. Dobbiamo esserne coscienti.

In un recente articolo dal titolo “Qui prescrit?”, comparso sulla rivista francese Esprit lo scorso settembre, Anne Dujin rifletteva sul ruolo dei librai, un tempo coloro che ti consigliavano una lettura al tuo ingresso in libreria, oggi sostituiti in buona parte da algoritmi matematici che, secondo le tue ricerche online, ti suggeriscono letture affini ai tuoi gusti. Interessante! Non solo si perde la relazione con il libraio di turno, il quale perde il suo valore aggiunto di “esperto”, ma viene meno un certo “azzardo” nella scelta. Ciò che le reti sociali ci offrono è qualcosa a su misura per noi, adatto ma impersonale. Impersonale…

E poi viene la metafisica, la “metà” “tà physikà”, cioè la scienza di pensare “oltre ciò che è fisico”. Le strutture e le leggi della realtà materiale troverebbero, secondo la metafisica filosofica greca (Platone e Aristotele su tutti), il loro fondamento, la loro spiegazione in qualcosa che esiste ma non si vede, che c’è ma non è fisico: il metafisico appunto.

E così, nel corso dei secoli, si è sviluppata un’altra scienza, che spesso ha coinciso con la metafisica, che si chiama “ontologia”, “onto” = ”ciò che è”, “-logía” = “discorso su…” (come antropo-logia, teo-logia, polito-logia…). L’ontologia si è configurata pertanto come un discorso su ciò che è, tanto fisico quanto metafisico, tanto visibile quanto invisibile.

Il cuore dell’ontologia risiedeva nel fatto che l’intelligenza umana è in grado di cogliere e pensare le cose che sono, cioè che esistono (“onto”), e di concettualizzarle, cioè trasformarle in idee e quindi di comprenderle (ammesso che farsi un’idea il più precisa possibile di qualcosa significhi comprenderlo!!!).

Insomma, l’ontologia metafisica classica, cioè greca e poi medievale, spostava le cose che esistono dentro la testa delle persone, luogo dove quelle cose diventano linguaggio, come il filosofo tedesco Heidegger ha ben ripreso nella sua Lettera sull’umanismo del 1947, parlando dell’uomo come “pastore dell’essere” che porta le cose nella “radura del linguaggio”.

Aggiungo, io, che bisogna saper rovesciare l’ontologia, come fosse una “logiontica”! Non più portando le cose al linguaggio ma, realismo dei realismi, riconoscere che sono le cose a parlare, anche quelle inanimate, come le pietre. E non lo dico poeticamente, “tutto parla, la natura ci parla e ci dice che…”, no! Lo dico in senso letterale: le cose parlano e cioè dicono, ci dicono qualcosa. Innanzitutto che sono, che ci sono, che esistono! La sola presenza di qualcosa, e di qualcuno, ci parla dicendoci che c’è! Non forse a parole, non ne hanno bisogno, ma con la loro semplice presenza. Discorso banale, ma se ci pensiamo bene, se ci accorgessimo che le cose e gli altri esistono e che ce lo stanno dicendo, forse il mondo potrebbe guadagnarne.

Ed infine le emozioni. Oggi si parla molto in ambito educativo di “educazione emozionale”, cioè dell’educare noi stessi e gli altri a sentire. Oltre il fatto che ciò denota una perdita di una delle capacità più normali dell’essere umano, sentire e provare sentimenti, dramma della nostra società… per fortuna ce ne stiamo accorgendo! Ma credo che la posta in gioco sia più alta: la questione è sentire e comprendere le emozioni, capire cosa ci stanno dicendo, la cosiddetta “intelligenza emotiva” appunto. Sí, perché le emozioni parlano, ci dicono qualcosa con il loro linguaggio silenzioso dal punto di vista verbale ma talvolta assordante a livello di impeto.

Non si tratta qui di tornare al Romanticismo, reazione emotiva al razionalismo illuminista, ma di reimparare ad accogliere le nostre emozioni, ovvero a incominciare di nuovo a di dialogare con noi stessi oltre il livello concettuale e razionale, morale e volontaristico, livelli fondamentali ma che da soli diventano potere egemone e dittatoriale di controllo, super-io normativo per eccellenza, decisione lucida ma sterile.

Le emozioni vanno integrate a tutti i livelli: morale e normativo, decisionale e volontario, creativo e affettivo, sessuale e persino rispetto alle nostre paure, troppo spesso non ascoltate e rimosse dietro fantocci ossessivi di concetti vuoti.

“L’invisibilità è un superpotere” – Banksy

Insomma, ora possiamo porci nuovamente la domanda: cos’hanno in comune Banksy, i social network, la metafisica e le emozioni?

Forse il fatto che tutto attorno a noi ci parla e noi dobbiamo imparare ad ascoltare, o forse almeno a sentire. Ci stanno dicendo che ascoltiamo!

Banksy lo fa con forza, parlando nel segreto dell’anonimato ma con una potenza che vuole dilaniare e lacerare con le sue contraddizioni le nostre viscere, per stimolarci al pensiero e all’azione.

“The social dilemma” cerca di svegliarci rispetto all’uso che fanno di noi le reti sociali, perché mentre noi le usiamo sono esse che ci usano a fini commerciali; ciò non è male a priori, ma che almeno uno lo sappia ed impari a riconoscere le strategie con cui, subdolamente, fanno di noi “usuari” un oggetto del loro mercato, così da poterne prendere le sane distanze.

La metafisica “logiontica” estende il discorso a tutto ciò che esiste, persone comprese, le quali, per il solo fatto che esistono ci gridano che ne venga riconosciuto il diritto all’esistenza. Come se noi fossimo qualcuno che ha il potere di riconoscere o no questo diritto alle cose e alle persone. Ironico, ma è proprio così… senza accorgercene (o accorgendocene!) decidiamo del destino delle cose, del pianeta, della natura e degli altri: possiamo ignorare la loro voce oppure porgere loro l’orecchio.

“Tu chiamale se vuoi emozioni”… Così cantava Lucio Battisti. Le e-mozioni muovono, spingono, parlano, gridano. Ascoltiamole, senza averne paura ma nemmeno assolutizzandole! Prendiamocene cura, sono fragili e delicate e si possono spegnere con un niente.

Nient’altro.

Credo che comunicare non significhi altro che “cum-unicare”, fare uno, insieme. In psicologia si usa la parola “integrazione”; il filosofo Jacques Maritain scrisse un’opera di metafisica chiamata “Distinguere per unire”; i graffiti di Banksy lacerano perché lacerante è la scissione sociale tra il potere e molta gente che ne soffre gli abusi. Se di “reti” si tratta, lasciamole, lasciamole andare, sciogliamole e apriamo le mani, lasciamole cadere e proseguiamo il nostro cammino verso l’incontro, l’ascolto, la comunicazione, il dialogo, il confronto, l’abbraccio, lo stare insieme anche quando si è soli, il ricordo dei cari e degli amici, un pensiero d’amore, l’attesa di chi ancora non c’è o purtroppo non c’è più… 

Incontriamoci!

Incontriamoci! Questo penso sia il grande segreto della comunicazione… Mantenere le differenze e le distanze, il rispetto ed il pudore casto della non invasione. Oggi più che mai, tra quarantene varie e internet esplosiva, lasciamo tutto ed alziamo il telefono, drizziamo le orecchie, stiamo un po’ soli in ascolto di noi stessi e di chi ci sta accanto.

Di rumore è pieno il mondo.

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